Le maledizioni nelle città universitarie


  • 15-03-2022
  • Sottotesi.it

Di Vidal Gerardo Cuba Gelsi

 

Non bastavano i professori noiosi, gli esami difficili, il mercoledì o giovedì universitario (a seconda del luogo) a rendere il percorso verso la laurea faticoso e pieno di insidie; non bastava l’incertezza del fattore umano: ad ostacolare il nostro successo e renderci impossibile la laurea ci si dovevano mettere anche le maledizioni delle città universitarie.

Molti sono scettici riguardo le superstizioni e tutto ciò che è legato al misticismo, ma posso assicurarvi che qualunque studente ci pensa su due volte prima di rischiare di attirare su di sé il malocchio. “Non attraversare” o “non salire” risultano essere le prescrizioni generali da rispettare, che poi, in modo specifico, si legano alle architetture e strutture tipiche di quella città. A Bologna sono due le scaramanzie più conosciute: vietato salire sulla torre degli Asinelli e soprattutto attraversare in diagonale Piazza Maggiore. Tra tutti gli studenti di questa città però, quelli che più devono fare attenzione sono i laureandi in ingegneria, in quanto per loro è proibito leggere per intero la frase che si trova sul muro all’entrata della facoltà. Anche a Torino e a Pisa vige il divieto di salire sui relativi simboli della città: la mole Antonelliana e la Torre pendente. Pena, ovviamente, non arrivare mai a concludere il percorso di laurea. A Roma qualcosa cambia rispetto a questo dato costante: per evitare la maledizione non bisogna mai incrociare le pupille con la statua della Dea Minerva che si erge imponente e maestosa nel cortile all'interno della cittadella universitaria.

L’ultima città presa in considerazione in questo articolo è Milano, uno dei centri urbani con più leggende in assoluto. Ai laureandi presso la Cattolica, è consigliato, prima di un esame, evitare la scalinata che finisce con due colonne laterali; mentre per non mettere a repentaglio la propria laurea, non bisogna mai attraversare il cortile. Per gli iscritti alla Statale, le superstizioni riguardano le porte d’ingresso: c’è chi sconsiglia di passare dalla porta di mezzo, chi dalle due porte laterali; in ogni caso, pare essere scoraggiata in generale l’entrata in facoltà. Infine, per i frequentanti della Bocconi, è fortemente sconsigliato attraversare lo spazio tra i due leoni posti nella porta centrale, a protezione dell’atrio.

La superstizione è la convinzione irrazionale dell’esistenza di fattori soprannaturali, capaci di generare svolte positive o negative nella nostra quotidianità. E come in tutte le questioni mistiche, dove non si può dimostrare il collegamento diretto tra cose come il sale versato e il portafogli perso, ci si chiede: fede o scienza? Semplice credenza popolare o verità agghiacciante?  

Io, per esempio, mi sono chiesto se queste pratiche scaramantiche siano solo un modo per scaricare la forte tensione psicologica ed emotiva a cui sono sottoposti gli studenti, che da un anno all’altro si ritrovano a fare i conti con una struttura organizzativa totalmente nuova. Il grande carico di responsabilità personale, dover contare su se stessi più che negli anni scolastici precedenti, essere un numero tra moltissimi, sottopone gli universitari a un grande stress. Uno dei modi più efficaci per liberarsi di questo peso, è lo scarico di responsabilità, “dare la colpa” a qualcosa che non dipende da noi: le maledizioni.

Qualcun’altro invece, ha provato a esaurire il dibattito cercando di fondare la veridicità di una delle due posizioni, come il nostro italiano “Mistero” (programma sul paranormale e sul misticismo), che purtroppo non ha mai pensato di venire a fare un servizio in alcuni dei luoghi con la più alta concentrazione di pratiche scaramantiche: appunto, le università. 

In realtà non sappiamo di preciso (né credo sapremo mai) come si sono generate queste superstizioni: se sono state inventate nel corso del tempo, magari a seguito di specifici eventi, o se sono state fondate insieme all’università. In quest’ultimo caso mi immagino una sorta di patto col diavolo, che dalle grandi narrazioni si sa, concede grandi doni a caro prezzo (come la gioventù e bellezza eterna di Dorian Gray). Questo contratto avrebbe concesso a noi umani l’accesso a preziose conoscenze in un’istituzione pacifica ed egualitaria, a patto di concedere agli spiriti maligni di vivere nel nostro mondo. Purtroppo a questi dispettosi pare proprio gli piacessero molto i luoghi affollati, come piazze, cortili e gli ultimi piani dei palazzi simbolici. E si sa, mai disturbare questi spiriti, altrimenti i guai sono assicurati.

Potendo paragonare il viaggio degli universitari al viaggio di Ulisse, si può dire che sono simili per diversi aspetti, non certo per il finale: l’eroe greco fa ritorno in patria, gli studenti invece approdano in una terra incerta e sconosciuta (quella del mondo del lavoro). In questo viaggio poi si incontrano molte prove da superare (nel nostro caso, scritte o orali), tentazioni che ci portano ad abbandonare la strada maestra (i prezzi popolari sono la maga Circe del tipico studente universitario) e forze soprannaturali avverse. 

Proporrei a questo punto, vista la pervasività di queste maledizioni che hanno trovato una dimora in ogni città universitaria, di istituire degli “uffici informazioni maledizioni” in questi siti culturali, che avvertano del rischio di attirarsi il malocchio studentesco. 

A me sarebbero stati molto utili: mi è capitato sia di salire sulla torre degli Asinelli, ma  in quanto matricola universitaria iscritta alla Sapienza di Roma; sia al contrario di guardare negli occhi della Minerva in quanto studente dell’università di Bologna (in seguito al mio trasferimento al secondo anno da Roma alla Dotta). Qualcuno direbbe che sono un temerario, qualcun’altro solo che sono una pò scemo o distratto, qualcun’altro ancora non mi direbbe nulla perché mi starebbe lontano almeno 1km. 

Se esistesse questo infopoint del malocchio, di certo chiederei le politiche contrattuali degli spiriti maligni e le possibili scappatoie: chissà se io nella mia condizione sono salvo o destinato a non laurearmi mai, nemmeno in una prossima vita.