Fallimento e successo: due facce della stessa medaglia


  • 22-12-2018
  • Sottotesi.it

Nell’immaginario collettivo gli anni dell’adolescenza e della giovinezza sono i più spensierati, colmi di divertimento e svaghi propri di questa età, lontani dalle preoccupazioni e le incombenze che la vita, in un modo o nell’altro, riserva a tutti. Ad oggi, però, diversi sono gli studi che sembrano dimostrare il contrario, ovvero che quella di uno studente può tramutarsi in un’esperienza ben lontana dalla leggerezza d’animo e dalla serenità. Ci si chiede se l’università, e gli studi in generale, portino solo benefici ai ragazzi o se realmente si possa affermare che possano nuocere alla salute psico-fisica degli stessi.

La facoltà di medicina e chirurgia della Cattolica di Roma risponde a questo quesito elencando i disturbi con cui più del 25 per cento degli studenti sembra convivere quotidianamente, disturbi prettamente fisici (tra cui mal di stomaco, cefalea, mal di schiena, stanchezza, vertigini) a cui si affiancano nervosismo, difficoltà a prendere sonno, ansia e nei casi più gravi depressione.
Ad esserne più colpite sono le studentesse.

Ma quali sono le potenziali cause di questo malessere? David Rosenberg, professore di psichiatria e neuroscienze alla Wayne State University, a Detroit, oltre ad insegnare, si occupa di tenere delle sedute psichiatriche con gli studenti che hanno sperimentato problemi di salute mentale, e afferma che esistono diverse cause che rendono psicologicamente stressati i giovani universitari. Le più rilevanti tra queste sembrano essere l’uso massiccio della tecnologia, che contribuisce a creare interazioni sociali alterate e un maggiore senso di isolamento, l’assunzione di sostanze stupefacenti alle quali sempre più spesso gli studenti ricorrono per dimostrarsi all’altezza delle proprie aspettative e di quelle dei genitori, e per ultimo, non per importanza, i costi troppo elevati dell’università. Lo stress finanziario investe soprattutto gli studenti fuori sede che, oltre a vivere la difficile esperienza di trasferirsi in altre città abbandonando la propria casa e le proprie abitudini, vengono sopraffatti da tasse universitarie sempre più alte, la paura di non trovare un lavoro dopo la laurea e dover tornare a vivere con i propri genitori. C’è un senso di frustrazione che dipende dalla convinzione che non ci siano più lavori soddisfacenti e allo stesso tempo accessibili nel mondo.

Nel nostro Paese queste problematiche stanno creando conseguenze devastanti; numerosi sono stati, negli ultimi anni, i casi di suicidio o tentato suicidio da parte di studenti universitari, quasi tutti con un copione che si riproponeva identico a se stesso in un modo allucinante: gli studenti inscenavano una imminente laurea, invitavano amici e parenti a presenziare alla cerimonia, per poi decidere di togliersi la vita il giorno prima o il giorno stesso del presunto evento, per non dover sopportare la mortificazione di rivelare ai propri cari la verità, quella di non aver ancora nemmeno terminato gli esami.

Una recente indagine di Skuola.net ha rilevato che gli studenti italiani sarebbero parecchio inclini a mentire sui risultati raggiunti nel proprio percorso universitario: si tratterebbe addirittura del 35%. Di questi, il 24% ha gonfiato almeno una volta il risultato ottenuto ad un esame, il 18% ha mentito sul numero complessivo degli esami e il 12% ha taciuto le bocciature. La pressione delle famiglie e il desiderio di non deludere le loro aspettative è uno dei maggiori fattori di ansia per gli studenti italiani, tale da arrivare a compromettere la loro intera carriera universitaria, se non la loro salute e la loro stessa vita.

Ma qual è la radice profonda del problema?

In Italia non esiste ancora “l’approccio costruttivo al fallimento” tipico della cultura americana che consente, al contrario, di vedere il fallimento non come qualcosa di diametralmente opposto al successo, ma di concepirli come due facce della stessa medaglia. Cogliere nel fallimento un’opportunità di crescita e captare da un’esperienza negativa l’energia per andare avanti e migliorare il tiro può permettere di compiere un salto in avanti verso il risultato sperato con maggiore consapevolezza.

Questo approccio positivo potrebbe portare una soluzione a quella che può essere considerata a tutti gli effetti un’emergenza sociale e innalzare a nuovo principio cardine della vita di uno studente la rinnovata e speranzosa domanda “Che cosa ho imparato da questa esperienza?”